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Il nostro Natale in Etiopia

Di Camilla
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– Natale in Etiopia –

Quei sorrisi e quegli occhi pieni di curiosità sono uno dei più bei regali ricevuti a Natale da quando non sono più una ragazzina. Avrei voluto poter stringere tutte quelle manine che mi cercavano e continuare a girare in cerchio con loro per ore ed ore.

Ormai da diversi anni trascorro il Natale lontano da famiglia e amici. Quel periodo coincide spesso con un viaggio per me e il mio compagno. Ho imparato a godere dei momenti passati in famiglia indipendentemente dal giorno, festeggio le ricorrenze in anticipo o in ritardo, l’importante è stare insieme. Non sempre è facile, pesa molto non esserci, ma scelte di vita e sogni mi portano spesso lontano. Non è giusto, non è sbagliato, o forse entrambe le cose. Meglio non chiederlo alle nostre famiglie!? Magari potrebbe essere l’oggetto per un altro post. Oggi però voglio raccontare un Natale speciale. Il primo Natale che ho passato lontano da casa.

Natale in Etiopia

Eravamo in Etiopia e stavamo lavorando con una ONG (chi legge il blog probabilmente già lo sa). Per le famiglie saperci così lontani anche in quei giorni è stato difficoltoso, arduo da accettare: il Natale è sempre stato un momento di condivisione speciale per loro, fatto di tradizioni e abbracci. Anche noi, però, ne sentivamo il peso. Quell’esperienza, così forte e travolgente, ci stava dando tanto, eravamo dove volevamo essere, ma restava pur sempre il primo Natale distanti da casa. Ed eravamo lontani già da parecchio.

Ma poi quei giorni si sono riempiti di gesti semplici ma carichi di significato, che hanno reso quella festa una delle più assurde e speciali che io ricordi.

Quelli che tornano alla mente sono pezzettini di un puzzle fatto di piccole grandi gioie, ricordi indelebili che a richiamarli mi emozionano ancora.

Le tradizioni del Natale

Il Natale a casa mia è sempre stato un tripudio di addobbi, io e mia mamma riempivamo la casa di decori, spesso fatti da noi. L’albero era compito mio, il presepe suo. Che poi non era un presepe, ma un’istallazione artistica che invadeva mezza sala.

Così in uno dei rari pacchi che arrivarono dall’Italia con qualche piccolo ma vitale rifornimento (trovare certe cose nel nostro villaggio era impossibile) sbucò una bustina con dei pupazzetti: lei aveva pensato al presepe. Pochi pezzi per ricreare anche in un Natale lontano da casa una delle tradizioni della nostra famiglia. Il presepe che ne venne fuori non aveva nulla a che fare con le creazioni di mia madre, ma era lì e portava un pezzettino della mia famiglia in un paese tanto distante e diverso.

Il Natale lontano da casa e i pensieri che annullano distanze

In quel pacco che aveva fatto chilometri e per arrivare da noi era passato di mano in mano (perché vivendo in un villaggio lontano da Addis Abeba faceva un giro assurdo e si avvaleva della disponibilità di più persone – sembrava una sorta di telefono senza fili) trovammo anche due panettoni confezionati, uno in versioni mini per questioni di spazio. Il Natale non è Natale senza il panettone, non è vero?

Ora siamo abituati a non mangiarlo sotto le feste, visto che siamo sempre in giro. Ma in quel primo Natale lontani da casa, in un villaggio dove la varietà di cibo era estremamente limitata, quei dolci furono una gioia immensa. Ancor di più perché, così come il presepe, erano una sorpresa. Un piccolo dolce gesto che accorciava le distanze: faceva arrivare il calore della famiglia e il sapore del nostro Natale in quella casa sgangherata, con la luce che saltava di continuo, l’acqua che non c’era quasi mai, il telo di plastica come pavimento e il tavolo con un buco. Ora mi capita spesso di vedere sotto le feste le versioni mini di panettoni, ogni volta li guardo e mi scappa un sorriso al pensiero del gusto provato quando li addentammo quel Natale in Etiopia.  A ripensarci erano dei normalissimi panettoni confezionati, ma a noi sembrarono dolci d’alta pasticceria. Nei giorni scorsi, presa da un po’ di nostalgia ho ricomprato un panettone mini, quello che vedi in foto.

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Non mancò neanche l’albero: ritagliammo un pezzo di cartoncino, lo decorammo con pezzi di carta e altri materiali riciclati. Lo appendemmo alla parete: fu il nostro primo albero insieme, fino a quel momento ce n’era sempre stato uno a casa del mio compagno e uno nella mia.

Natale in Etiopia, il regalo più bello

Di quel Natale in Etiopia però ho un ricordo ancora più forte, di quelli che ti segnano, che si imprimono come un tatuaggio impossibile da cancellare. Di quelli che, se ci ripenso, mi esce ancora una lacrima di emozione (si, sono una che si commuove).

Ai margini del nostro villaggio c’era una missione cattolica (gli Etiopi sono in gran parte Ortodossi) e noi decidemmo di seguire lì la messa la mattina di Natale. Quando andammo a chiedere gli orari incontrammo solo un paio di monache provenienti dal sud America, ma la mattina del 25 fu tutta un’altra storia.

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Alcuni dei bimbi al momento del saluto

Ci svegliammo all’alba, perché la struttura era dall’altra parte rispetto alla nostra abitazione e molto lontana dal centro: con gli occhi ancora assonnati arrivammo che la cerimonia stava iniziando. I bimbi che vivevano in missione erano già tutti seduti, noi ci posizionammo in fondo. Gli adulti erano pochissimi, la maggior parte dei presenti era composta da bambini, alcuni molto piccoli.

La messa era accompagnata dai canti di quei ragazzini dai vestiti sdruciti e pieni di polvere. Le loro mani si muovevano al ritmo della musica e le loro voci riempivano quella stanza che fungeva da chiesa. Non abbiamo capito nulla della cerimonia, ma il senso di pace e gratitudine provato lì è stato assoluto. In rarissime altre occasioni abbiamo sentito qualcosa di simile.

Finita la messa tutti i bambini si sono accorti della nostra presenza: vedere due ragazzi europei in mezzo a loro era una gran novità, probabilmente molti non ne avevamo mai visti. Nel villaggio c’erano pochissimi occidentali e raramente arrivavano fino alla missione. Hanno iniziato a girarci intorno, tutti volevano prenderci per mano, parlare con noi e giocare con noi. Suscitavamo sempre una gran curiosità tra i più piccoli, ma quella mattina non ci aspettavamo quell’accoglienza.

Quei volti così felici per il solo fatto di avere due ospiti come noi nella missione è un ricordo così vivido che sembrano passati pochi giorni.

Per loro fu inaspettata la nostra presenza quanto per noi la loro reazione, quei sorrisi e quella gioia furono il regalo di Natale che l’Etiopia ci stava facendo, uno dei più belli mai ricevuti.

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2 Commenti

Chiara 7 Gennaio 2020 - 15:19

Bellissimo racconto, sembra quasi di vederle quelle mani che si muovono al ritmo della musica!
Forse è proprio questo il senso del Natale: sentirsi accolti e accogliere chiunque, anche al di fuori del nostro mondo.

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Camilla 7 Gennaio 2020 - 17:45

Ciao Chiara, mi fa piacere che il racconto della mia esperienza ti sia piaciuto, soprattutto perché per me è stato un momento veramente speciale. Si, credo anche io che il senso del Natale sia nell’accogliere e sentirsi accolti, in questo momento più che mai.

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