Il nostro giro tra Arba Minch e l’Omo valley è stato sicuramento uno dei viaggi più intensi e particolari fatti in Etiopia. Rispetto alla zona a nord di Addis Abeba, questa parte a sud est del paese richiama maggiormente l’immaginario collettivo sull’Africa, fatto di villaggi e tribù, savana e una gran varietà di animali. Abbiamo attraversato paesaggi meravigliosi e incontrato popolazioni tanto diverse quanto affascinanti.
In questo articolo ti racconto di Arba Minch, del lago Chamo, della tribù dei Dorse e del grande mercato di Chencha. All’Omo valley dedicherò un altro pezzo, perché anche se per noi è stato un unico viaggio, merita uno spazio a parte.
Piccola nota iniziale
Prima di cominciare però vorrei aggiungere una piccola nota. Quello di cui parlo qui è anche un viaggio dove, come per tutto il tempo trascorso in Etiopia, ci siamo dovuti confrontare con l’estrema povertà di gran parte della popolazione. In questi luoghi più che altrove, abbiamo anche toccato con mano il disperato tentativo di alcune tribù di resistere all’abbandono delle loro terre, anche a rischio di “vendersi e svendersi”, mettendosi in mostra per i turisti. È capitato di trovarsi in situazioni difficili, delicate, dove i bimbi ad esempio inscenavano goffi balletti ai bordi delle strade, nella speranza di ricevere soldi o oggetti. Oppure davanti a persone che si mettevano in mostra col turista disposto a pagare di più per scattare una foto.
Occorre tenere conto che a volte quei guadagni sono tra le poche risorse che permettono di evitare il trasferimento in città, rinunciando alle proprie tradizioni. Ma bisogna anche evitare di lasciarsi andare all’elemosina continuativa: anche pochi spicci alimentano un cortocircuito dove rimangono invischiati soprattutto i più piccoli, che pensano di poter vivere di quello. Una nota di poche righe non basta a spiegare questa situazione e le sensazioni che si provano visitando certi luoghi. Non voglio neanche cadere nel retorico. Ho pensato però fosse giusto farvi un accenno perché sono realtà complesse e, anche quando le vivi da turista, non puoi restarne indifferente e ignorarne certi aspetti.
Veniamo però al nostro viaggio
La prima tappa di questo giro è stata Arba Minch, famosa per le 40 sorgenti da cui prende il nome (Arba Minch vuol dire proprio 40 sorgenti). Questa città è il punto di partenza per visitare l’Omo Valley, ma vale la pena trascorrere lì almeno un paio di giorni per scoprire la zona.
Arba Minch è divisa in Shecha e Sikela, collegate da una strada asfaltata: in sé non offre molto, ma ciò che la circonda è spettacolare. Ce ne siamo fatti subito un’idea dalla collina di Sikela, dove si può godere di un panorama mozzafiato, che riempie gli occhi con un senso di pace e vastità. Da un lato c’è il lago Chamo, dall’altro il lago Abaya. A dividerli c’è una montagna: seconda la tradizione quel monte fu messo da Dio per separare i due bacini ed evitare che inondassero la città, per questo è chiamato il Ponte di Dio.
Come arrivare ad Arba Minch
Noi abbiamo girato gran parte dell’Etiopia con i bus utilizzati dagli Etiopi, vecchi mezzi che partono ad orari indefiniti (il che vuol dire: salire sul pullman intorno alle 4 del mattino e aspettare che si riempia, compreso il corridoio). I viaggi, data la tipologia del mezzo e le numerose fermate, sono lunghissimi. Ci sono però autobus più moderni, usati soprattutto da turisti e dalla parte benestante della popolazione, che partono da Addis Abeba e raggiungono la città in minor tempo. Si può arrivare ad Arba Minch anche tramite un breve volo aereo dalla capitale etiope.
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Come visitare Arba Minch e il circondario
Se si vuole scoprire veramente cosa offre la zona bisogna affidarsi a una guida, così come per l’Omo valley. Noi non abbiamo contattato un’agenzia, conoscendo un po’ la lingua ed essendo in Etiopia già da vari mesi abbiamo deciso di arrangiarci sul posto. Ci siamo affidati ad un ragazzo incontrato davanti all’hotel che era cerca di turisti da accompagnare: Abbey, uno spilungone sorridente che è diventato il nostro compagno di viaggio per quasi una settimana. Ci ha anche invitati a casa sua a pranzo.
A passeggio per la savana
La prima cosa pazzesca che abbiamo visto è stata la savana: era la prima volta per noi. Ci siamo arrivati con una piccola barchetta attraverso il lago Chamo. Abbiamo passeggiato a pochi metri dalle zebre, che non sembravano affatto intimorite da noi. Da vicino sono magnifiche, di una regalità ed eleganza che in foto non è percepibile. I babbuini erano ovunque e c’erano tantissimi tipi di uccelli strani: è stata un’esperienza pazzesca. Ma era solo l’inizio.
In barca tra coccodrilli e ippopotami
Risaliti in barca ci siamo diretti al “mercato dei coccodrilli”, come lo chiamano i locali, ma non è assolutamente un mercato. È una parte di lago dove è facile incontrare questi animali: ce n’erano tantissimi e di tutti le dimensioni, lì ad un paio di metri da noi. E poco più in là nuotavano gli ippopotami. Ammetto che non ero molto rilassata ad averli così vicini, però che emozione.
Dalla savana alla foresta con le 40 sorgenti
Arba Minch non offre però solo la savana, dall’altro lato della città il paesaggio è totalmente diverso: basta raggiungere la zona delle 40 sorgenti. Qui si è sviluppata una vera e proprio foresta, con alberi alti e rigogliosi, rocce e liane, che disegnano uno scenario incredibile, dove i raggi del sole filtrano appena.
Secondo la tradizione si resta giovani più a lungo se si beve l’acqua di queste sorgenti raccogliendola con una grande foglia vellutata. Noi ovviamente non ci siamo fatti scappare l’occasione di provare.
La piscina naturale
Quando pensavamo di aver visto tutta l’area, siamo arrivati ad una grande piscina naturale, dove la gente va a nuotare, e una subito dopo creata dai locali sbarrando il fiume (la prima è a pagamento, l’altra gratis). La gente del posto chiama questa zona il paradiso in terra e non esagera affatto.
Alla scoperta dei Dorse
Partendo da Arba Mich, con un minibus sgangherato, abbiamo raggiunto uno dei villaggi più particolari della zona: quello dei Dorse. La caratteristica principale di questa popolazione è che vive in capanne a forma di testa di elefante. Secondo la leggenda era un modo per rendere onore ai pachidermi che una volta vivevano in quest’area. Alcune sono molto alte, altre più basse: questo perché gli strati a contatto con il terreno si rovinano con il tempo e vengono tolti, rendendo ogni volta un più bassa la capanna. Da fuori sono veramente suggestive. All’interno però dormono sia uomini che animali, questi ultimi usati d’inverno come riscaldamento.
I mille usi del finto banano
Nella vita quotidiana dei Dorse un ruolo particolare lo ricopre il finto banano: una pianta che assomiglia al banano ma che non dà frutti, ma viene utilizzata in mille modi. Sfruttano soprattutto il tronco e le foglie, per costruire case, ricavare borse, corde e una poltiglia che, dopo aver fermentato sotto terra, diventa una sorta di formaggio acido. Sono molto famosi anche per le stoffe, veramente belle e coloratissime.
Devo ammettere che il primo impatto con i Dorse è stato un po’ difficile, all’inizio sembrava che volessero rifilarci un teatrino studiato appositamente per i turisti. Ma grazie alla guida e ad un po’ di sfacciataggine ci siamo addentrati nel villaggio e abbiamo potuto immergerci nella vita quotidiana: umini che filavano, donne al lavoro sul finto banano e bimbi che giocavano nei pressi delle capanne. Ci siamo anche seduti in una delle capanne tipiche dove alcuni anziani del villaggio ci hanno fatto assaggiare il liquore locale.
Tutti al mercato di Chenca
Da Arba Minch un’altra tappa interessante è il mercato di Chencha: noi ci siamo arrivati con un minibus dalle capanne Dorse insieme ad alcune persone del villaggio che andavano a vendere stoffe. Si tratta di una grande distesa collinare, dove non abbiamo trovato bancarelle o stand arrangiati, ma venditori stesi a terra che esponevano la propria mercanzia e chiacchieravano con altri. In alcuni punti sembrava più una scampagnata che un vero mercato. Qui per la prima volta in Etiopia ho trovato gente che fumava il narghilè (la ritroveremo poi ad Harar e d’intorni, la parte più araba del Paese).
La fine curiosa di un viaggio pazzesco
Per finire una nota curiosa: il giro alla scoperta dei dintorni di arba Minchsi è chiuso con un appostamento per evitare la polizia. L’autista del minibus si era dimenticato il suo permesso per accedere all’area (in alcune zone intorno ad Arba Minch e all’Omo valley serve un’autorizzazione) e abbiamo dovuto aspettare mezz’ora che le guardie fossero distratte da un altro mezzo per poter sgattaiolare via velocemente.
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2 Commenti
Che viaggio straordinario. Mi piacerebbe molto ma vista la tua premessa ho paura di vivere la realtà delle cose lì. Sono molto emotiva e non vorrei trovarmi a piangere per tutto il tempo. Cosa mi dici?
Ciao Marika,
sicuramente è necessario essere preparati, si tratta di un viaggio capace di cambiarti ma certamente è un’esperienza che sono felice di aver vissuto.