– La storia Sintayhu-
In Etiopia è normale imbattersi in bambini di strada, anche molto piccoli, abbandonati a se stessi in condizioni terribili. Sono vittime della povertà e dell’AIDS, che spesso ha messo in ginocchio o distrutto le loro famiglie. Sono coperti di stracci, dormono dove capita, nella maggior parte dei casi non hanno i soldi neanche per un pezzo di pane e mangiano, se sono fortunati, gli scarti degli alberghi.
Ogni giorno per questi bambini di strada è una battaglia dall’esito totalmente imprevedibile, a volte tragico. Si arrangiano facendo lavoretti giornalieri, come facchini o sciuscià, ma non guadagnano mai abbastanza. Nei loro occhi spesso non c’è speranza. Nella maggior parte dei casi sono maschi, perché i pericoli di una vita in strada per una bimba sono maggiori. Inoltre, per le ragazzine, anche piccole, è più semplice trovare lavoro come domestiche, anche se nella maggior parte dei casi sono “sfruttate e sottopagate”.
Nonostante sia meno frequente, è comunque possibile trovare anche fanciulle ad ingrossare l’esercito dei bambini di strada. Sintayhu Abatienhe è stata una di loro e tutt’ora la sua vita è ai margini, lungo un filo sottilissimo che non la separa di molto da quella disperata realtà.
Questa volta voglio raccontarti la sua storia, che come le altre che trovi nel blog ho raccolto durante il periodo in cui ho lavorato in Etiopia con l’ONG Comunità Volontari per il mondo.
Se vuoi qui trovi le altre storie dall’Etiopia che ho già pubblicato.
Bambini di strada in Etiopia, l’incontro con Sintayhu Abatienhe
Shintayhu ha solo quindici anni ma di tristi ricordi ha la testa piena e la sofferenza sembra essere una delle sue più fedele compagne. È originaria di Debre Markos, un grande villaggio a 400 km a nord di Addis Abeba (lo stesso dove abbiamo vissuto anche io e il mio compagno). Il suo volto dolce lascia trasparire una profonda timidezza. Si stringe su se stessa come se volesse farsi più piccola possibile. È avvolta in una sciarpa, con la quale cerca di nascondere il volto e le mani, come a proteggersi dall’esterno. Le sue parole e i suoi movimenti sono titubanti. Sembra che voglia chiedere aiuto, ma al tempo stesso che abbia paura di farlo.
La storia di Sintayhu
È orfana, completamente sola al mondo. Il padre è morto quando lei aveva appena sei mesi, non ne conosce la causa e di lui non sa molto altro. Fino all’età di sette anni ha vissuto con la madre in una piccola casa affidata loro dal governo poiché troppo povere per potersi permettere un’abitazione. “C’era un affitto da pagare, non alto, – racconta distogliendo lo sguardo – ma noi non avevamo i soldi e non pagavamo quasi mai”. La madre era una lavoratrice giornaliera, prestava servizio in diverse abitazioni dove aiutava a preparare la tella (birra locale) e l’enjera (sorta di pane tipico piatto e spugnoso che accompagna ogni portata in Etiopia), ma quello che riusciva a mettere insieme era veramente poco.
“Quando non guadagnava abbastanza, mia madre non mangiava nulla e lasciava il cibo a me. Di solito potevo mangiare a colazione e a cena. Qualche volta andavo dai vicini che stavano meglio di noi e mi regalavano del pane”, spiega quasi sussurrando.
Nonostante quella disperata situazione economica, Sintayhu a quel tempo non lavorava, cosa invece piuttosto comune per le bambine povere. La madre fece il possibile per mandarla a scuola. Purtroppo però le cose peggiorarono presto: la donna si ammalò e fu costretta a letto. Stando ai ricordi della ragazzina, le fu diagnostica una gastrite. Lei dovette abbandonare la scuola per occuparsi della madre. La donna fu anche ricoverata in ospedale ma per lei non ci fu nulla da fare: morì dopo molte sofferenze.
Il lavoro di domestica in Etiopia
Ancora piccola, senza mezzi di sostentamento o parenti, Sintayhu rimase per qualche giorno in casa poi fu assunta come domestica da alcuni vicini. Rimase per cinque anni in quella casa: l’accordo iniziale era che i padroni le permettessero di seguire le lezioni, per lei niente stipendio ma cibo e spese scolastiche assicurate. Una soluzione che viene adottata spesso quando si assumono bambine per i lavori domestici e che assicura alle ragazze di poter studiare.
La situazione in casa non era troppo dura: “I signori era comprensivi con me e non erano bruschi, ma le figlie erano scortesi. La più grande spesso mi picchiava se riteneva che non avessi svolto le mie mansioni nel modo giusto – racconta aggrottando le sopracciglia -. La sera poi dovevo rimanere alzata fino a che le figlie non andavano a dormire”. Ciò che rendeva la situazione difficile era però il rischio di dover abbandonare la scuola. Nonostante le promesse iniziali, i datori di lavoro ben presto cercarono di impedirle di continuare a studiare.
Fu solo grazie alle pressioni di alcuni vicini che Sintayhu non dovette interrompere la scuola. Non fu comunque semplice: i padroni di casa non le compravano i materiali necessari e non le lasciavano il tempo di studiare. “La mattina dovevo lavorare, così arrivavo a scuola tardi: vedevo le mie compagne passare davanti alla casa e correre a scuola e io dovevo finire le faccende prima di poter uscire per le lezioni”.
Nonostante tutto, parla di quel periodo come una buona occasione: “Ho imparato a cucinare e pulire, mi sono fatta un’esperienza. Prima quelle cose non le sapevo fare”, ammette sorridendo. Per un bel pezzo Sintayhu rimase lì, dividendosi tra i lavori in casa e i tentativi di studiare.
Da domestica a rivenditrice di limoni
Dopo cinque anni però l’opposizione al suo desiderio di studiare e alcuni atteggiamenti ostili la spinsero a lasciare la casa. Trovò ospitalità da alcuni vicini che la conoscevano da tempo e le offrirono un posto per passare la notte: “Potevo dormire sul loro pavimento dentro casa. Mi diedero anche 10 ETB, così potei comprare alcuni limoni da rivendere, in modo da guadagnar qualcosa”.
Sintayhu cambiò vita: da domestica in una famiglia diventò una delle tante venditrici di limoni che si incontrano per le strade o nei mercati in Etiopia. Spesso si appostano ai bordi delle vie e aspettano autobus e macchine per fare affari con i viaggiatori. In quelle condizioni era però impensabile proseguire la scuola.
Tra i bambini di strada in Etiopia
Purtroppo la convivenza con una famiglia altrettanto povera non fu semplice e con il tempo la situazione diventò tesa. Sintayhu fu spinta ad abbandonare anche quella casa, ritrovandosi di nuovo sola, senza soldi, senza un posto sicuro e senza un lavoro. Questa volta davanti a lei c’era solo la strada, la terribile vita da ragazza di strada.
Per le vie di Debre Markos ha incontrato altre due disperate come lei e con loro ha cominciato ad arrangiarsi: “Dormivamo vicino alla stazione degli autobus, sotto una veranda. Il proprietario lo sapeva ma non ci chiedeva i soldi. Non avevamo coperte ma solo delle sciarpe per coprirci”, racconta con uno sguardo cupo. Stare in strada per le ragazze è particolarmente rischioso di notte, i pericoli sono tanti: è facile imbattersi in qualche farabutto ovunque, tanto più in paesi poveri come l’Etiopia, dove a volte è la disperazione a spingere a rubare. Anche tra i ragazzi di strada non sempre fila tutto liscio: non di rado i più “esperti” si approfittano dei più fragili e meno abituati alle difficoltà che quella vita riserva.
Sintayhu e le sue amiche erano spaventatissime e spesso trascorrevano buona parte della notte camminando, lasciandosi andare al sonno solo quando ormai l’alba era vicina.
“Se ci coricavamo prima, gli altri potevano picchiarci, tirarci i sassi o anche peggio”, precisa quasi vergognandosi. “Io ero quella che di solito si accorgeva prima se qualcuno si avvicinava e avvertivo le mie amiche”. Giorni e mesi difficili, passati a lottare per avere qualcosa da mettere sotto i denti e a difendersi dai continui rischi, da altri disperati o da uomini privi di scrupoli.
Vivere di espedienti
I bambini di strada vivono di espedienti, e così è stato per Sintayhu e le sue compagne. “Una di noi vendeva i fazzolettini, io e l’altra i limoni. Guadagnavamo pochi spiccioli. Riuscivo a comprare il pane, ma non di più. Io non andavo a chiedere gli scarti negli hotel, avevo paura”. Erano le altre, da più tempo in strada, che si posizionavano nel retro degli alberghi per mendicare gli avanzi che poi dividevamo. “Con loro c’era un buon rapporto, anche se a volte per qualche giorno se ne andavano, non so dove. Restavo sola e avevo paura: di notte camminavo sempre perché temevo che se mi fossi messa a dormire mi avrebbero fatto del male”, racconta un po’ confusa con un filo di voce. Non ricorda per quanto tempo ha fatto quella vita.
Il potere delle reti sociali e della solidarietà
La solidarietà e la rete sociale però è molto forte in Etiopia e si manifesta in tanti aspetti della vita quotidiana. Se la disperazione spesso muove ad azioni condannabili, altrettanto spesso condividere situazioni di disagio spinge le persone ad aiutarsi. Così è stato anche per Sintayhu: i vicini che l’avevano ospitata sul pavimento di casa le hanno di nuovo offerto quel rifugio. I problemi c’erano e non sono scomparsi neanche ora, ma è pur sempre un posto più sicuro in cui tornare la sera.
Al momento del nostro incontro Sintayhu viveva ancora con loro, anche se cercava di farsi notare il meno possibile: “Sono molto poveri anche loro e se mi offrono del cibo preferisco non accettarlo”. Lì si sente più al sicuro ma l’esperienza fatta in strada è indelebile.
Vivere con la paura
La mente corre spesso alle ex compagne di strada, a quelle bambine di strada sole che con lei hanno condiviso i giorni in cui non c’era cibo, in cui era freddo e non c’era un riparo. “Quando sono in casa dei vicini e provo a dormire penso a loro e sono preoccupata. Ero io di solito che mi accorgevo se arrivava qualcuno a dare fastidio e le avvertivo. Come faranno?”. Ma quelle paure non valgono solo per le altre. Quella dov’è ora non è la sua casa, ci torna la notte ma il resto del giorno lo trascorre in giro, come tutti i bambini di strada. Per lei non c’è futuro.
Non è vita questa, è una lotta quotidiana alla sopravvivenza.
Eppure lei sogna ancora di poter tornare a scuola: sogna di trovare un aiuto per lo studio, al resto penserebbe da sola. La scuola rappresenta il luogo della speranza per molti bambini in Etiopia, come traspariva anche dalle parole di Beteliehm.
(Nelle immagini tutti angoli e momenti di vita quotidiana a Debre Markos)
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4 Commenti
Un articolo sicuramente diverso dal solito. Un’esperienza densa e ricca di significato, che credo dia un altro sapore alla vita. Non hai scritto cosa fare e vedere in Etiopia ma hai scritto una storia vera e toccante. Di quelle che ogni viaggiatore dovrebbe poter raccontare…
Avendo lavorato con un’ONG in Etiopia ho avuto modo di toccare con mano tanti aspetti della vita quotidiana che in un viaggio, seppur lungo, spesso non si possono conoscere. Ho dedicato anche articoli a cosa vedere in Etiopia, ma ci tengo molto a far conoscere le storie della gente comune, delle persone che ho incontrato.
Mi hai tenuta incatenata al tuo racconto fino alla fine. Non riesco a immaginare una vita come questa. Sono esperienze terribili e cono migliaia i bambini che le fanno. <3
Ciao Francesca, si purtroppo sono veramente tanti i bambini costretti a vivere così, è terribile.