– Etiopia, la storia di Betelihem –
Quando Betelihem Nebiyu ha cominciato ad andare a scuola non aveva i soldi neanche per un vero quaderno, la mamma le aveva potuto comprare solo un blocco note con quindici pagine. “Era il più economico – spiega timidamente – quelli più grandi costavano troppo per noi. Ma per il primo anno poteva bastare anche così. Il problema era per gli anni successivi”.
Betelihem è una bambina magrolina dai lineamenti delicati e dagli occhi dolcissimi. Quei tratti minuti nascondono in realtà una gran determinazione. Quando ho raccolto la sua testimonianza già ci conoscevamo da un po’, ci incontravamo frequentemente per le attività rivolte agli orfani e ai bambini poveri di Debre Markos, nell’Etiopia del nord (il villaggio in cui vivevo). Eppure, raccontare delle difficoltà familiari, mettere a nudo la sua povertà, non è stato facile per lei. Vedere una bimba così piccola vergognarsi della sua condizione economica faceva venire un magone enorme, che torna anche oggi a distanza di tempo, rileggendo gli appunti presi.
Etiopia: il problema dell’istruzione
Quando Betelihem era al primo anno di scuola la possibilità di proseguire gli studi sembrava quasi impossibile. Purtroppo è una situazione piuttosto comune in un paese come l’Etiopia. Fortunatamente le cose andarono in un altro modo. La piccola è stata coinvolta nel programma dell’ufficio CVM (Comunità volontari per il mondo) di Debre Markos:
“Ora l’ONG mi fornisce le penne e i quaderni con tante pagine, non devo più usare quelli con solo quindici fogli – dice con i grandi occhioni che brillano vivaci -. Io quelli con cinquanta pagine non li potrei comprare da sola”.
Si sforza di usare l’Inglese e non l’Amarico (la lingua locale): tentenna, ma è fiera di poter comunicare con noi senza bisogno dell’interprete, almeno per le cose più semplici. Essere inserita in quel progetto è stato molto importante per lei: rappresenta la possibilità di poter continuare a studiare, di formarsi per costruire un futuro che non sia fatto di povertà. (Una possibilità che ridona speranza com’è stato anche per Mezert, la cui storia trovi qui)
Le difficoltà ad andare a scuola
Betelihem ha undici anni, andare a scuola le è sempre piaciuto molto e il suo rendimento è sempre stato buono. L’impegno e i buoni voti però non bastano quando non ci sono soldi neanche per assicurarsi una vita dignitosa, figurarsi per l’istruzione. “Voglio studiare perché senza un’istruzione non si può fare molto, rischierei di finire in strada”, spiega con un’espressione seria.
“Quando mi sono iscritta a scuola non avevamo i soldi neanche per l’uniforme, che invece è obbligatoria. Dovetti richiedere un documento ufficiale dal responsabile del kebele dove vivo (il kebele è il livello amministrativo più basso, corrisponde a una sorta di quartiere), che attestava lo stato di povertà della mia famiglia. Lo portai al direttore della scuola e lui mi permise di seguire le lezioni senza l’uniforme. Ma io non mi sentivo tranquilla: tutti indossavano l’uniforme, mi vergognavo ed ero molto preoccupata”, rivela cercando di nascondere la tristezza. All’epoca già il solo fatto di poter andare a scuola era una cosa straordinaria. Sua sorella maggiore quell’opportunità non l’aveva avuta.
“Quando era piccola lei – racconta abbassando la voce – mia madre non poteva proprio permetterselo di mandarla a scuola, così ha cominciato a lavorare prestissimo. Da alcuni anni lavora come domestica ad Addis Abeba e non torna mai a casa”.
Una storia di povertà molto comune in Etiopia
Le rinunce sono sempre state all’ordine del giorno in casa di Betelihem, colpita anche da un precoce lutto: il padre è morto quando lei aveva 5 anni. Non ricorda molto di lui e fa fatica a parlarne. Stringendo le spalle, spiega cosa le hanno detto: si era recato nella capitale per trovare un’occupazione come operaio a giornata, ma lì fu coinvolto in un incidente mortale, forse sul lavoro. Oltre alla sorella più grande, che da qualche anno sente solo al telefono, Betelihem ha anche un fratello maggiore, ma praticamente non l’ha mai visto. Quando parla della sua famiglia il suo tono di voce si fa più grave, quasi da adulta, e stona con quel corpicino minuto anche per la sua tenera età.
Dopo la scomparsa del padre, la madre dovette provvedere da sola ai bisogni del ristretto nucleo familiare, fino a quando non cominciò a lavorare anche la figlia più grande. La donna è una lavandaia, ma purtroppo questa occupazione non sempre le assicura uno stipendio decente: “Ora in famiglia siamo solo in due e quanto abbiamo più o meno basta”, commenta con un gesto di rassegnazione che camuffa con un sorriso. A Betelihem non è mai stato chiesto di lavorare per guadagnare soldi, i suoi compiti son sempre stati quelli di aiutare in casa e cucinare quando la mamma è impegnata.
Ci sono comunque stati momenti in cui sopravvivere sembrava veramente tanto difficile.
Pensando al passato il volto si incupisce e in pochi istanti le lacrime scendono sul volto: “C’è stato un periodo in cui eravamo veramente molto povere e una volta non abbiamo mangiato per tre giorni: mia madre non aveva trovato roba da lavare e non avevamo i soldi per il cibo”.
Uno spiraglio di luce
Ora è più serena: sa che c’è qualcuno che può aiutare lei e la mamma e che non rischia più di dover lasciare la scuola. “Quattro anni fa un dipendente del CVM mi ha parlato del lavoro dell’ONG. Lui era un mio vicino di casa e conosceva il mio stato. Mi ha detto che quelle persone mi potevano aiutare – racconta con una certa enfasi -. Era vero. Da allora il CVM mi fornisce i quaderni, le penne e le uniformi per andare a scuola”.
L’associazione di orfani
Ciò che l’ONG ha fatto per lei va anche oltre: Betelihem è uno dei membri dell’associazione di orfani Biruh Tesfa (futuro luminoso), e con gli altri bambini ha istaurato un rapporto speciale: “Per me sono come fratelli e sorelle, con loro sto molto bene, con alcuni in modo particolare. Mi piace partecipare agli incontri della domenica: non abbiamo lezione quel giorno così possiamo trascorre parecchio tempo insieme, discutere e fare tante altre cose”.
Tra le attività più interessanti per lei c’è la panetteria che l’associazione, con l’aiuto del CVM e di alcuni uffici governativi, ha aperto una decina di mesi prima del nostro incontro. I profitti sono destinati agli orfani: “È molto utile, perché i soldi guadagnati vengono messi in banca e serviranno per il nostro futuro”, dice fiera.
Le paure per il futuro
Il suo avvenire è qualcosa che preoccupa non poco Betelihen, nonostante i suoi undici anni: “Ora non ho problemi – ammette sorridendo – ma se il CVM smettesse di aiutarmi come farei a finire la scuola? Sono solo al sesto grado (la scuola in Etiopia è divisa in gradi)”. Sentire una bambina così piccola preoccuparsi tanto per il suo futuro è un pugno sullo stomaco. Lei ha un grande sogno e ce lo rivela sfoggiando fiera ancora un po’ di inglese: “Vorrei fare lo scienziato, perché gli scienziati fanno tante ricerche, vanno sulla luna e visitano tanti pianeti”. È un progetto ambizioso, forse un sogno, ma Betelihem è solo una bambina e ha tutto il diritto di sognare.
Un ricordo speciale
Nel mio cuore Betelihem ha un posto speciale, perché con lei si è subito instaurato un rapporto di fiducia. Ad un certo punto abbiamo scoperto anche che avremmo potuto aiutarla in un modo semplice: noi usavamo l’acqua delle bottiglie di plastica, perché quella del rubinetto non si poteva bere per questioni di igiene. La popolazione locale però non la comprava, perché per la maggior parte degli etiopi era troppo costosa. Ricompravano però le bottiglie vuote (che quindi costavano meno) per varie attività nei campi. Così abbiamo iniziato a metterle da parte: una volta alla settimana le consegnavamo a Betelihem e lei si dava da fare per rivederle, mettendo da parte il denaro ricavato.
Per noi non era nulla, per lei era qualcosa di importante: soldi che guadagnava con uno sforzo minimo (rivederle era facile perché c’era richiesta). Una piccola sicurezza e il fatto di sapere di essersi guadagnata da sola quei soldi. Penso spesso a questa cosa, a lei e soprattutto ai suoi sorrisi nei nostri incontri settimanali.
Se ti va di scoprire un po’ di più dell’Etiopia (e degli incontri che ho fatto lì) qui trovi le storie dei suonatori di Masinko, di Eielsa e la baraccopoli di Koshekoshe, dell’associazione di donne e del carcere.
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2 Commenti
È una storia che fa riflettere, come tutte quelle dei bambini che crescono senza le nostre stesse possibilità, che noi invece diamo per scontate.
Hai avuto modo di continuare ad avere sue notizie a distanza di tempo, magari tramite l’associazione che la stava aiutando?
Ciao Eleonora, hai perfettamente ragione, sono storie che fanno riflettere e che ti aiutano a rimettere in ordine i pensieri e i valori, a capire cosa conta veramente. Negli ultimi tempi purtroppo non ho più ricevuto notizie, ma in certe situazioni non è facile.