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Un capodanno insolito: in Etiopia ma tra i sapori dell’India

Di Camilla
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– Capodanno insolito –

Brindare al nuovo anno con diverse ore di anticipo, all’interno di un appartamento quasi completamente sprovvisto di mobili, in una buia stradina periferica, con i profumi della cucina asiatica e circondati da una comunità di professori giunti dall’India: sicuramente quel 31 dicembre 2010 non avremmo mai immaginato di iniziare il nuovo anno in un modo tanto insolito.

Il calendario etiope è molto diverso dal nostro: 7 anni e 113 giorni indietro rispetto a quello gregoriano. Il Capodanno per loro è l’11 (o il 12) settembre, quindi quel 31 dicembre per i nostri amici e colleghi etiopi era un giorno come un altro. Noi non siamo tipi da grandi feste, ma qualcosina per salutare quell’anno pazzesco che ci aveva portato in Etiopia ci sembrava il caso di farla.

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La piazza di Debre Markos (il villaggio dove abitavamo)

Al  villaggio, in quei giorni, dei 5 stranieri stabili che conoscevamo e con i quali era nato un bellissimo rapporto, (e che per gran parte del tempo erano stati anche gli unici stranieri presenti) c’erano solo le inglesi Nina e Patricia, entrambe insegnanti all’università locale in progetti di cooperazione internazionale, e la mamma di Patricia, giunta per farle visita. Quella festa la passammo insieme, dovevamo esser noi cinque ma poi la serata prese un piega inaspettata.

Capodanno insolito

Il Paradise

La prima tappa fu la cena al Paradise, il ristorante più lussuoso – si fa per dire – del villaggio. Un posto decisamente diverso dai tipici locali di Debre Markos. Quando eravamo arrivati, 7 mesi prima, era il classico palazzone con un ristorante al secondo piano dotato di tavoli in alluminio ricoperti di tovaglie in plastica, qualche divanetto sfondato sui toni del marrone, le tende pesanti ai finestroni e l’impossibilità cronica di ordinare ciò che volevi.

Chiedevi “Burger halle?” (c’è il burger? – che poi era un trito di carne di pecora che con l’humburger non aveva nulla a che fare) e loro rispondevano convinti “Halle, halle” (si, si), per poi ricomparire dopo oltre 30 minuti e dirti che non c’era. E questo succedeva ogni singola volta.

Oppure ordinare tibs (che sono qualcosa di vagamente simile agli “straccetti” di pecora) e ti vedevi arrivare le chips, perché nonostante fossero settimane che eravamo lì buona parte dei camerieri non credeva che uno straniero volesse mangiare il piatto locale.

Dopo qualche mese rinunciammo del tutto e smettemmo di andarci.

Una stramba oasi dietro i palazzoni

In pochi mesi però questo buio e disadorno ristorante si era trasformato: nello spazio sul retro avevano ricavato una sorta di oasi verde in mezzo al grigio delle vie polverose del centro. C’erano  fontane (dove prendessero l’acqua, che mancava per gran parte del tempo, lo sapevano solo loro), spaziosi gazebo rotondi in legno e vimini, tende dai vivaci tessuti locali, palme e musica sempre a volume altissimo. Era uno dei locali più ammirati del villaggio, dove però non vedevi quasi mai nessun abitante del posto.

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Tipici bar dei villaggi etiopi

Da quando era cambiato ci andavamo pochissimo, anche perché qualità del cibo e impossibilità di ricevere ciò che ordinavi erano praticamente rimasti invariati. Preferivamo i bar più modesti, dove magari era meglio evitare la carne, ma potevi mangiare degli scirò squisiti (mix di ceci e berberè) e fare amicizia con altri del posto. Quella sera però era pur sempre Capodanno, una cena in un posticino diverso dal classico “locale” in una stanza buia sembrava l’ideale.

Una birra da Steve

Dopo il Paradise non poteva mancare una birra da Steve, all’apparenza un bar etiope come tanti, ricavato in una stanzetta stretta e scura, con mobilio messo insieme alla bella e meglio, ma senza la musica tradizionale. Non ho nulla contro la musica locale, ma gli Etiopi sotto questo punto di vista sono piuttosto nazionalisti, o meglio regionalisti: hanno sempre le loro canzoni a volume altissimo, che poi sembrano tutte uguali.

Dopo oltre 7 mesi, ogni tanto era piacevole ascoltare qualcosa di diverso. Steve aveva mille lavori: proprietario del bar, proprietario di un negozio di telefonia e commerciante in non so quali altri business. Ogni tanto spariva per poi ricomparire all’improvviso. Era molto espansivo e allegro, un tipo abituato ad avere a che fare con gli stranieri, a dispetto di gran parte della gente del villaggio. Ce lo aveva presentato Patricia e da un po’ di tempo il suo bar era il nostro punto di riferimento per le serate speciali.

Capodanno insolito: un salto in India

Non potevamo però fermarci molto da lui, perché Patricia aveva promesso a dei colleghi di passare da loro. Fu in quel momento che scoprimmo che a Debre Markos, anonimo villaggione a 400km da Addis Abeba, c’era una numerosissima comunità giunta da qualche parte dell’India. Pare che il governo dell’Etiopia avesse fatto qualche accordo con le autorità o le università dell’India per avere i loro professori nelle università del paese. La maggior parte insegnava Inglese, ma come avremmo scoperto di lì a breve parlavano un Inglese tutto loro.

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L’università di Debre Markos

Non li avevamo mai incontrati, eppure eravamo spesso in giro per il villaggio. Vivevano in alcuni appartamenti in uno dei tanti condomini che dovevano rappresentare il progresso del villaggio ma che a vederli e poi entrarci erano vecchi, malandati e con mille problemi. Anche noi abitavano in un posto come quello e ogni giorno eravamo alle prese con qualche malfunzionamento.

Imbucati ad una festa

Ci presentammo a casa loro insieme a Patricia e sua mamma praticamente senza invito, inevitabilmente a mani vuote, ma non se ne preoccuparono affatto. Ci accolsero felici e con una gentilezza che quasi metteva in imbarazzo. Erano tutti piuttosto giovani tra 20 e 30 anni, uomini e donne, ma nessun bambino. La casa era completamente priva di mobili. Il salone centrale era vuoto ma in terra c’erano appoggiate le pentole stracolme di cibo; in cucina c’era un fornello, un mobiletto e poco altro. I profumi forti e pungenti delle loro specialità si diffondevano per tutta la casa.

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A casa degli Indiani

Ci fecero accomodare in una delle poche stanze ammobiliate: c’era un letto, un comodino e forse niente più. Al vuoto dell’abitazione si contrapponeva la loro numerosa presenza: erano veramente tanti.

A quanto mi spiegò Patricia poco dopo, avevano beneficiato di un ottimo contratto per insegnare all’università, una buona occasione che avevano intenzione di far rendere al massimo: l’idea era quella di vivere facendo sacrifici per qualche anno in Etiopia, risparmiare il più possibile e poi tornare nel loro paese con una nuova stabilità economica.

Ospiti d’onore

Noi in quella serata strana eravamo gli invitati d’onore, serviti e riveriti come se fossimo persone importanti seppur due di noi fossero piombati lì all’improvviso. Sembravano entusiasti di averci con loro ma al tempo stesso imbarazzati. Noi non facevamo altro che ringraziali per l’ospitalità.

Eravamo in un casa semivuota, circondati da professori provenienti dall’India in un villaggio etiope a celebrare l’arrivo del nuovo anno ognuno con il suo fuso orario. Perché ovviamente la mezzanotte per noi e per i padroni di casa non scoccava alla stessa ora e non era neanche quella del fuso orario locale.

Il cielo di mezzanotte

Dopo un paio d’ore in quella confusione di profumi, sapori e lingue scendemmo di nuovo in strada, nel buio pesto illuminato solo da un magnifico cielo stellato. A Debre Markos non c’erano lampioni ma il cielo era qualcosa di emozionante, il più bello della mia vita. Saremmo rimasti a guardarlo ore e non solo in quella serata assurda, ma ogni notte di cielo sereno trascorso in quella terra.

Brindare con una tazza di latte

Non poteva certo finire così quel Capodanno insolito. Io e il mio compagno siamo abituati a riservarci sempre un momento per un brindisi tutto nostro, indipendentemente da come festeggiamo il 31 dicembre. In casa però non avevamo ovviamente alcolici, così la mattina successiva decidemmo di brindare con una tazza di latte (ovviamente in polvere, perché quello era il più sicuro) in due tazze spaiate.

Trascorrendo questo periodo dell’anno spesso lontano da casa, amici e famiglia, di 31 dicembre fuori dal comune ne ho vissuti diversi: qui ho raccontato quello in Giappone e qui invece quello a New York.

Se ti va di raccontarmi un Capodanno insolito scrivilo pure nei commenti.

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